Le scelte / Che scuola?, che lavoro per domani?...

         
Non è indifferente fare una scelta piuttosto di un'altra...

Che cosa cerchiamo nella scuola?

Solo una scuola culturalmente qualificata, in grado di comunicare i contenuti accumulati nelle diverse discipline, magari ricca di "proposte integrative"(attività sportive, musicali,...)?
O anche una scuola che sappia porre esigenze ben più profonde, anche se a volte inespresse, al livello delle domande di senso (che senso ha...?), della crescita integrale della persona e dell'avvio alla vita oltre alla professionalità?
E tutto solamente finalizzato al lavoro, all'occupazione? E' importante solo il "saper fare" o anche il "saper essere"?
 
Non è indifferente fare una scelta piuttosto di un'altra...

Che valore ha il lavoro?

Il valore lavoro ha un doppio aspetto:
- da un lato c'è l'aspetto drammatico, che riguarda la sopravvivenza della persona, il dramma del posto di lavoro che non c'è o che si teme di perdere e, dall'altro,
- ci sono aspetti che riguardano la crescita, lo sviluppo della persona: il lavoro come occasione, come vocazione, come valore, come modalità di apporto qualificato alla società civile e alla comunità (insomma, si vorrebbe che anche il lavoro avesse un senso che non fosse solo quello della sopravvivenza...).
   
     
Alcune alternative...
C'è una parabola, quella del Figliuol prodigo o dei due fratelli, che può essere interessante per capire meglio alcuni aspetti riguardanti il lavoro, e non solo.
C'è un padre che ha due figli, adulti, il cui ruolo è dunque quello di guadagnarsi il pane con il lavoro.

Il figlio minore sfrutta il privilegio della ricchezza, forza la mano al padre, si fa dare la parte di beni che gli spetta e dilapida il danaro senza operare e senza investire [...] Quando non ha più nulla cerca un lavoro nel gradino socialmente più basso, mosso dal puro bisogno di sopravvivenza. E' un lavoro il cui unico valore gli appare quello di non morire di fame. A un certo punto questo figlio decide che si sta meglio tra i servi di suo padre e ritorna. Il ritorno è ancora in funzione del puro bisogno [..] Ma il padre lo rimette nella sua dignità di figlio, e, nondimeno, di collaboratore, di persona affidabile e responsabile.

C'è però anche il figlio maggiore. Egli fa un lavoro responsabile anche se la sua mentalità è ancora quella del servo! Il lavoro non gli dà dignità e lo lascia senza autonomia, senza gioia e senza libertà. Non sa neppure accorgersi che "tutto quello che c'è in casa è tuo", cioè che partecipa alla pienezza dell'impresa produttiva, come gli ricorda il padre.
A questo duplice sfondo negativo di lavoro inteso come non valore o valore incompleto fa da contrasto l'azione del padre, che tende a reintegrare i due figli nella loro dignità, libertà e autonomia. E' il padre a chiamare alla responsabilità adulta rispetto alle cose: il lavoro e il rapporto con le persone devono essere "liberanti"...
 

Il lavoro è compatibile con il resto?

Il lavoro fondamentalmente dovrebbe sviluppare le risorse presenti nella terra e sprigionarne tutta la ricchezza nascosta; a volte si parla anche di "custodire", il che comporta il rispetto e la salvaguardia della bellezza e dell'ordine che troviamo nel creato.
E non è certo quello che si fa quando si manomette la natura che poi, a sua volta, si impaurisce, s'impoverisce e si ribella (ed i disastri ambientali ed umani, dall'inquinamento allo tsunami, stanno li a testimoniarlo...).
C'è una massima indiana che dice pressapoco così: "non dovremmo mai pensare di aver ereditato la terra dei nostri padri ma di averla presa in prestito dai nostri figli".
 
Ma...
Ma se il lavoro deve allearsi con lo sviluppo e l'armonia, quale impegno di crescita e dono di solidarietà, esso non può diventare un idolo a cui sacrificare tutta la vita; il lavoro va dimensionato secondo ritmi che fanno alzare la testa dalla terra per guardare il cielo e la fanno girare intorno per dialogare tra le persone.
Non si possono togliere gioia e libertà... altrimenti...
   
Se l'obiettivo è ...
Si dovrebbe sempre partire dal senso che ho attribuito alla mia vita...
Se è tutto centrato su me stesso riuscirò a trovare un senso allo studio, al lavoro scelto?...
Ma se l'obiettivo della mia vita è "una vita per gli altri" o "per l'Altro" anche le mie scelte, della scuola o del lavoro che siano, dovranno essere coerenti, andare in quella direzione... E' la stessa cosa prepararsi e diventare medico per un'organizzazione umanitaria oppure fare... il promotore finanziario?

E, comunque, non dimentichiamoci di un altro aspetto sempre molto stupefacente, quello della gratuità. Può sembrare fuori tema parlare di gratuità nel lavoro poiché, per il mercato per cui si opera, il lavoro suppone uno stipendio. Eppure è anche molto importante la soddisfazione ad es. del meccanico che dice ad un amico: "Ho fatto un lavoraccio ma ti ho messo la macchina a puntino". Ha certo avuto del danaro per il lavoro fatto ma ha regalato all'amico la sua pazienza, attenzione, creatività, intelligenza. Queste non si pagano. Lo stipendio si gioca sul mercato e sta alle sue leggi. L'attenzione e la passione con cui facciamo un lavoro si sviluppano al di fuori della legge del mercato. Il valore di una persona è grande ma la coscienza di questa grandezza si svela nel crescere, nell'operare, nel riuscire, nel sentirsi riconosciuti e ringraziati, nel capire che insieme abbiamo costruito qualcosa che da soli non saremmo stati capaci di fare.
Non possiamo anche noi aspirare a una simile possibilità e gioia?
 

 

Non voglio solo "apparire"

Vorrei anche "vivere"...